Puglia

Borghi dell’entroterra: il Salento

Quando si parla di Salento, l’immaginario collettivo corre immediatamente verso il mare. Spiagge, scogliere,
località costiere affollate d’estate. Eppure, a pochi chilometri dalla costa, esiste un altro Salento:
quello dei borghi dell’entroterra, spesso esclusi dal racconto dominante e sempre più segnati dallo spopolamento.

Questi paesi custodiscono una parte fondamentale dell’identità salentina, ma oggi vivono una crisi profonda,
silenziosa e strutturale. Case chiuse, strade vuote, servizi ridotti al minimo. Il problema non è solo demografico,
ma culturale ed economico: l’entroterra è diventato marginale non perché privo di valore, ma perché privo di attenzione.

Lo spopolamento come fenomeno strutturale

Nei borghi dell’entroterra salentino lo spopolamento non è un evento improvviso, ma un processo lungo decenni.
I giovani partono per studiare o lavorare altrove e raramente tornano. Le opportunità locali sono poche,
spesso legate ad attività tradizionali in crisi o a un turismo secondario e discontinuo.

Questo svuotamento ha effetti a catena. Quando diminuisce la popolazione, chiudono le scuole,
si riducono i servizi sanitari, scompaiono i trasporti pubblici. Vivere in questi borghi diventa sempre più difficile,
soprattutto per anziani e famiglie. Il paese perde funzioni, non solo abitanti.

Spesso si attribuisce la responsabilità agli abitanti stessi, accusati di “non sapersi adattare”.
Ma questa lettura ignora il contesto: senza investimenti, senza infrastrutture, senza una visione di sviluppo,
restare diventa un atto di resistenza più che una scelta razionale.

Borghi come scenografia, non come comunità

Negli ultimi anni, i borghi dell’entroterra sono stati riscoperti dal turismo lento e dai media,
ma spesso in modo superficiale. Centri storici restaurati, luci suggestive, eventi estivi.
Tuttavia, dietro la facciata, la vita quotidiana continua a indebolirsi.

Il rischio è trasformare i borghi in scenografie: belli da visitare, ma non da abitare.
Case ristrutturate come seconde abitazioni, strutture ricettive aperte solo stagionalmente,
servizi pensati per i visitatori e non per i residenti. La comunità reale viene sostituita
da una presenza temporanea.

Questa dinamica produce un paradosso: il borgo “funziona” economicamente solo quando è pieno di non residenti,
ma perde progressivamente la sua funzione sociale. Senza una popolazione stabile, il patrimonio culturale
diventa fragile, privo di continuità e significato.

Ripensare l’entroterra come spazio di futuro

Considerare i borghi dell’entroterra come luoghi senza futuro è una profezia che si autoavvera.
In realtà, questi territori possiedono risorse spesso sottovalutate: qualità della vita,
patrimonio architettonico, relazioni sociali, spazi disponibili, costi abitativi più bassi.

Il nodo centrale è creare condizioni perché restare o tornare sia possibile.
Lavoro da remoto, servizi digitali, mobilità efficiente, sostegno all’imprenditoria locale
possono trasformare i borghi in alternative reali alle città e alle coste sovraffollate.
Ma tutto questo richiede politiche pubbliche coerenti e di lungo periodo.

Il futuro del Salento non può essere costruito solo lungo la linea di costa.
Senza l’entroterra, il territorio perde equilibrio, profondità e resilienza.
Ridare centralità ai borghi non significa conservarli come reliquie,
ma riconoscerli come spazi vivi, capaci di evolversi senza rinnegare la propria identità.

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